Calatafimi Segesta – Cultura
Calatafimi – Segesta è un comune situato fra le colline dell’agro-segestano, il paese, più conosciuto con l’originario nome di Calatafimi, ha assunto la denominazione attuale dal 1997. Esso si è sviluppato nel IX secolo intorno al Qal’at Fîmî, il castello di Eufemio (in arabo), di cui restano alcune tracce in prossimità dei resti della città elima di Segesta. Dagli Aragona venne ceduto ai Peralta. Portata in dote matrimoniale come baronia da Donna Violante de Prades a Bernardo Cabrera, Calatafimi appartenne alla Contea di Modica, insieme ad Alcamo, dal 1420 al 1802. Un momento molto importnate per la città fu la spedizione dei Mille, che proprio nel vicino colle di Pianto Romano affrontò in una celebre battaglia le truppe borboniche. Sul luogo dove avvenne lo scontro fu eretto un grande mausoleo, dove si conservano le spoglie dei caduti. Quest’ultimo, conosciuto come sacrario di Pianto Romano, fu progettato dal celebre architetto Ernesto Basile. Il centro storico si estese a partire dal XV-XVI secolo nei “quartieri spagnoli” che ad oggi si presentano nella loro topografia originale. Questa terra come tutta la Sicilia ha subito il dominio di popoli, lingue e culture diverse. Calatafimi all’origine sorse nel cosiddetto “pianoro” ad oriente del Castello, oggi occupato da una parte della pineta che ricopre il colle. Uno degli elementi più affascinanti di questa città è l’intreccio tra mito e storia, i suoi vicoli e paesaggi rappresentano l’identità di un popolo che ha visto scorrere sulla propria pelle il flusso della storia senza tempo.
Castello Eufemio
Nella parte più antica e più occidentale della città, sorge il Castello Eufemio, la tradizione vuole sia stato innalzato intorno al 1200. Nel tempo esso subì un lento declino. Di questo antico maniero oggi restano i due ampi avanzi delle due torri sul frontespizio, con alcuni motivi architettonici e parte della cortina che le congiungeva, i due forti archi del vestibolo, la lunga galleria sottostante alla parte più ad ovest del piano della corte, i grandi muraglioni di sud ed ovest e le due feritoie sul muro di mezzogiorno. Questo castello dovette essere nella sua remota origine uno dei siti fortificati, posti a difesa ed a controllo delle vie di accesso a Segesta. Inoltre sul lato sinistro del vestibolo e della corte si aprono le porte anguste di alcune piccole celle sulle cui pareti si possono ancora scorgere i graffiti incisi dai detenuti. Dall’alto colle in cui è situato il castello si può ammirare uno stupendo panorama, che va dalla città al tempio di Segesta sino al monte Barbaro.
Questa struttura è visitabile solo dall’esterno.
Pianto Romano
Percorrendo la statale 113, si giunge al Monumento Ossario di Pianto Romano. Sorto in memoria dei caduti nella celebre battaglia combattuta tra i Mille e i Borboni e nella quale si decisero le sorti dell’Italia. Esso fu eretto per volontà dei cittadini di Calatafimi-Segesta sul colle omonimo, su progetto di Ernesto Basile e inaugurato il 15 maggio 1892, a custodia delle reliquie dei caduti nella fatidica giornata della battaglia del 15 Maggio 1860, che fu decisiva per le sorti della spedizione e dell’unita nazionale. Ha una struttura piramidale, alto circa 33 metri, visibile anche a grande distanza, costruito con pietra calcarea di Alcamo. La base quadrata, con mura scarpate orizzontalmente sagomate, si raccorda per mezzo di gradini ad un alto obelisco a conci ornato a metà della sua altezza da una severa corona di bronzo con la trinacria e due palme. La decorano ai lati due gruppi bronzei di Battista Tassara, dei Mille, raffiguranti lo sbarco di Marsala e la battaglia di Calatafimi. Per la scala si giunge all’Ossario, superato il classico ingresso, arco etrusco fra due pilastri che sostengono il frontone dorico, si arriva nel sacrario che custodisce in due grandi custodie le reliquie dei Caduti: garibaldini e borbonici. A memoria dei tragici eventi del 1860 sono stati collocati dei cippi marmorei che ricordano Teano e le 15 città italiane dalle quali provenivano i garibaldini che qui perirono e con le quali il Comune di Calatafimi-Segesta si è gemellato. Alla fine del grande Viale dei Cipressi, Viale della Rimembranza, il 15 maggio 1960 è stata posta una stele, regalo della regione Siciliana in occasione del centenario del combattimento, in essa sono scritte le famose parole che Garibaldi disse a Nino Bixio: “Qui si fa l’Italia o si muore”.
Parco Archeologico di Segesta
A 4 km dal centro storico sul Monte Barbaro alto 400 m. circa sul livello del mare, vi è uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Sicilia: Segesta. Antico insediamento elimo, il quale racchiude il tempio e il teatro. Il Tempio realizzato in stile dorico, risale al V sec. a. C.; secondo gli storici rimase incompiuto. È uno dei templi più interessanti e meglio conservati della Sicilia. Il peristilio è composto da 36 colonne non scanalate, 14 sui lati lunghi e 6 sul lato corto; l’interno è privo di cella e le metope non sono lavorate. Esso testimonia la progressiva ellenizzazione dell’antico insediamento elimo. Invece, il Teatro, con molta probabilità venne costruito nel III sec. a. C., ma in seguito rimaneggiato dai Romani. Ha un diametro di 63 m. e circa 20 gradinate scavate nella roccia: è uno dei più bei teatri dell’antichità. Come a Siracusa, l’orchestra disponeva di un passaggio sotterraneo. Recentemente sono stati riportati alla luce l’ingresso originario e l’innesto che collegava il teatro all’agorà. Nella zona circostante a Segesta, che gli archeologi identificano con l’Acropoli Nord della città elima, è possibile reperire qualche rovina d’abitazione. Una delle rivelazioni più importanti è l’esistenza di continuità dell’insediamento abitativo per tutta l’epoca romana. Da un punto di vista storico, l’antica Segesta venne distrutta da Agatocle, tiranno di Siracusa nel IV secolo a. C., rifondata dai Romani e infine devastata dai Vandali. Segesta fu per molti anni antagonista di Selinunte con la quale viveva una acerba contrapposizione, sia dal punto di vista storico che culturale e territoriale. Ogni anno il teatro è sede di un ciclo di spettacoli classici e le suggestive albe segestane, recital di poesie che alle cinque del mattino richiamano un folto stuolo di amatori desiderosi di assistere allo spettacolo del sole nascente, una delle esperienze più affascinanti al mondo. Il Parco Archeologico di Segesta chiaramente non può essere considerato un museo del senso classico del termine, ma indubbiamente è qualcosa di più. É un museo a cielo aperto nel quale la storia si fa presente, vero e proprio caleidoscopio storico.
Museo Garibaldino
Su quella che veniva chiamata “strada maestra” sorge la casa che fu del Parroco Antonio Pampelone (fervente liberale, vissuto nell’800), oggi diventata Museo Garibaldino. Dal suo balcone Garibaldi parlò alla popolazione di Calatafimi. Il museo raccoglie foto, oggetti, cimeli e documenti dell’epopea garibaldina. É un vero e proprio luogo della memoria, monito per le presenti e future generazioni affinché non dimentichino il valore della libertà, per la cui affermazione anche la gente di Calatafimi ha combattuto. Il 16 Maggio 1860 dal balcone di questa casa, il Generale Garibaldi proclamò la vittoria sull’esercito borbonico.
Museo Etno Antropologico
L’edificio che accoglie il Museo Etno-Antropologico si trova all’interno di un ex-convento, appartenuto ai Frati Francescani, opportunamente restaurato, il museo si compone di diversi ambienti. Questo luogo costituisce la memoria storica della popolazione e ne documenta la vocazione prettamente agricola, raccogliendo attrezzi, strumenti e oggetti dalle forme e dai nomi ormai quasi sconosciuti, testimonianza delle attività che si svolgevano nei campi, nelle botteghe artigiane o più semplicemente in ambito domestico. Attraverso alcune foto particolarmente belle e antiche, è possibile conoscere la realtà della vita di un tempo. Propone, inoltre, un itinerario di studio per la conoscenza della cultura e dell’organizzazione della società di Calatafimi nei secoli passati. Vi sono ricostruite una cucina e una stanza da pranzo contadina, una camera da letto dei primi del ‘900, una bottega da calzolaio con i tradizionali attrezzi da lavoro. Inoltre, particolarmente interessanti sono un antico torchio per il vino ed un telaio per la lavorazione dei tappeti. In un’altra sala è possibile ammirare la Collezione Ingarra: una pregevole collezione privata di maioliche di manifattura siciliana, realizzate dal XVI al XIX secolo. In questa stessa sala è allestito un centro utilizzato come sala convegni.
Chiesa Madre
Dedicata a San Silvestro Papa, questa Chiesa fu costruita nella prima metà del XIII sec. Nel 1547, a fianco della primitiva chiesa, si costruì il grande tempio a tre navate con archi goticheggianti che poi in età barocca furono trasformati in archi romani. La chiesa è arricchita da stucchi, tele, marmi policromi e statue lignee. L’interno è caratterizzato da tre navate sorrette da colonne, conserva diversi stucchi e un interessante polittico marmoreo dei primi del ‘500. Esso è un’opera articolata ed elegante che accosta l’inizio e la fine della vita terrena di Cristo: la sua Nascita e la Morte, l’opera fu realizzata dal Berrettaro e Mancino dal 1509 al 1512. Un altro elemento di particolare rilievo all’interno della Chiesa è La Madonna con Bambino quest’ultima occupa una nicchia centrale, più ampia rispetto a quelle laterali in cui sono custodite le rappresentazioni di Santi e Profeti. Nell’ordine superiore, sono riproposte le scene principali della passione di Cristo. Attorno a queste, le immagini degli Apostoli. In alto, a chiudere la piramide, la rappresentazione di Dio Padre.
Chiesa del SS. Crocifisso
Sorge sul luogo della precedente Chiesa di Santa Caterina e fu costruita fra il 1741 e il 1759, su progetto di G.B. Amico. L’interno è arricchito da affreschi del Giabecchina, stucchi e tele di varie epoche. L’esterno, molto semplice nella sua composizione neoclassica, protegge una struttura interna molto più sofisticata. All’interno di essa il primo elemento di particolare pregio è dato dall’altare realizzato in stile barocco, è diviso in tre navate da pilastri che sorreggono archi a tutto sesto. Quest’ultimi sono arricchiti da abbondanti decorazioni dorate. Al centro della volta, circondato da una moltiplicazione di fregi,è possibile ammirare il Trionfo della Croce: un affresco del 1700. All’esterno colpisce l’imponenza di un grande timpano che occupa tutta la parte centrale della facciata, sopra di esso le tre campane. E’ stata definita una delle più belle chiese della Sicilia. Decorata dagli splendidi affreschi del Mercurio e del Norrito (XVIII sec.) e dagli stucchi dorati, inoltre la Chiesa è resa preziosa dalla presenza della tribuna dell’altare del Crocifisso ricchissimo di marmi policromi.
Chiesa di Maria SS.ma di Giubino
La Chiesa della Madonna di Giubino risalente al XVIII secolo,era in passato annessa all’ex monastero delle benedettine fondato nel 1573. Questa Chiesa era originariamente intitolata a Santa Caterina Vergine e Martire d’Alessandria. Si tratta di una chiesa di inestimabile bellezza, progettata da Giovanni Biagio Amico, e dedicata al culto della Madonna di Giubino, patrona della città, essa ha il suo ingresso principale nella via Mazzini e uno secondario nella piazza del Plebiscito. Costruita a navata unica con volta a botte e a pianta ellissoide, si compone di tre altari principali. Al suo interno essa è arricchita da magnifici stucchi, tele,statue lignee e notevoli dipinti, di particolare pregio un venerato trittico marmoreo rinascimentale che si trova nell’abside sopra l’altare maggiore in una bella custodia di marmi policromi, realizzato in olio su tela. Le testimonianze storiografiche inducono a collocarlo intorno alla metà del XV secolo e ad ipotizzare che il suo autore sia stato lo scultore Francesco Laurana, al centro la Vergine in posizione seduta tiene in braccio il bambino, all’altezza degli omeri le stanno sei serafini oranti, e in alto due angeli che la coronano del serto celeste. A destra e sinistra in due nicchie S. Michele Arcangelo e S. Francesco. Corona l’insieme una graziosa lunetta che raffigura la Natività di Gesù. Nella parete sinistra sono rappresentati: Maria SS. della Misericordia, S. Benedetto riceve la visita di Totila, Alessandro Magno con il Sommo Sacerdote, Ester e Assuero, quadri del 1855; continuando sulla navata sinistra troviamo le Nozze Mistiche di Alessandria, olio su tela, XVII-XVIII sec, Maria SS. Assunta in cielo, olio su tela, XVII-XVIII sec., nella lunetta della volta: Mosè con le tavole della Legge, Giuditta e Oloferne, Sansone traspote le porte di casa, Aronne, Gioele uccide Sara, Davide e Golia, affreschi del 1855. Nella parte destra del Vestibolo è custodito il dipinto della “Madonna degli angeli con S. Benedetto e Santi”, olio su tela, di Gaspare Bazzano, 1917; nella parte sinistra invece troviamo il dipinto di “Santa Maria Maddalena”, quadro del XVII sec. prima nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, oggi chiusa al culto; al centro della porta principale è possibile ammirare il dipinto di “Maria SS. del Lume”, olio su tela, XVII sec. All’interno della Sacrestia di questa Chiesa sono custodite altre importanti opere come ad esempio quello delle: Anime purganti, olio su tela, XVII-XVIII secolo; Portale di marmo, proveniente dall’abolita Chiesa di S. Abate del 1536. La storia di questa Chiesa è legata alla popolazione da un evento miracoloso riconosciuto alla Santa: nel 1655 un’invasione di cavallette stava distruggendo i raccolti in tutto il territorio di Calatafimi, in quegli attimi il popolo si riunì nella Chiesa Madre, e lì fu deciso, che dopo aver messo dentro un’urna i nomi di tutti i Santi che avevano un’altare nelle Chiese del paese, sarebbe stato scelto come patrono quello estratto; invocando lo Spirito Santo venne sorteggiato il biglietto con il nome di Maria SS. di Giubino. La parte centrale del trittico con l’immagine della Vergine fu staccata dalla parete in cui era murata nella Chiesa campestre di Giubino, e portata in processione, in quella che fu poi chiamata “la processione dei grilli”, dopo la processione il territorio di Calatafimi venne liberato dall’invasione delle cavallette.
Santuario Campestre di Maria SS.ma di Giubino
Le origini di questo Santuario sono antichissime, alcuni studiosi moderni identificano il suo sito con quello di un’antica fortezza chiamata “Calatagabuni”, di cui si hanno notizie a partire della seconda metà del XIV sec; mentre i primi documenti dell’esistenza della Chiesa li troviamo nell’anno 1495. La tradizione narra che il trittico marmoreo era originariamente collocato in una Chiesa nella contrada di “Angimbè”. Secondo la leggenda, un giorno alcuni contadini, mentre aravano la terra nel bosco di Angimbè, con grande sorpresa trovarono la bella Madonna. Era stata nascosta in quel luogo dagli antichi cristiani quando gli eretici iconoclasti distruggevano le sacre immagini. La scoperta fece accorrere molta gente da Calatafimi e dalla vicina Alcamo. Ne nacque una contesa, che la Madonna stessa risolse. Messa la sacra immagine sopra un carro di buoi, questi attraverso il bosco la portarono a Giubino, e là, sulla spianata, si inginocchiarono. La Madonna in quel luogo volle la sua Chiesa, ed il popolo vi fabbricò il Santuario. Questa graziosa legenda, piena di poesia, raccolta da storici e documenti ufficiali, si tramanda ancora da generazione in generazione. Grande è sempre stata la devozione che ha nutrito Calatafimi verso la SS. Vergine. La Chiesa ha una struttura semplice e disadorna, con la porta principale a ponente. La cappella dell’unico altare conserva qualche ornamento. Sull’altare, quando non è collocata l’immagine marmorea originale, viene esposto un quadro di Maria SS. di Giubino datato 1779. Sotto il Santuario c’è una piccola grotta, nella quale si tramanda che il Beato Arcangelo passava le notti in penitenza. Ogni anno la seconda domenica di Luglio il simulacro di Maria SS. di Giubino viene condotto in processione nel suo antico Santuario di campagna, dove resta fino alla terza domenica di Settembre.